La convinzione che la psicologia sia fondamentale negli approcci nutrizionali è unanimemente condivisa nel mondo clinico e scientifico.
La nutrizione è uno di quegli ambiti umani complessi pieno caratterizzato da una molteplicità di aspetti psicologici che ne condizionano il funzionamento: aspetti affettivi, caratteriali, costrutti rigidi o mistificatori, ecc.
Tuttavia, è meno chiaro come la psicologia debba entrare nell’ambito nutrizionale.
Il mondo della psicologia è composto da una moltitudine di approcci e correnti, alle volte anche contrastanti tra loro, con metodiche e obbiettivi molto eterogenei che impattano in maniera diversa sugli interventi predisposti sul target, clinico o nutrizionale che sia.
Per cui, semplicemente, affermare che nella nutrizione si debba intervenire dal punto di vista psicologico, secondo me, è esatto ma incompleto.
Al fine di spiegare come la psicologia possa entrare nella nutrizione, descriverò in maniera sintetica due casi clinici (nel massimo del rispetto della privacy): di seguito espongo brevemente due casi formalmente simili ma sostanzialmente molto diversi.
Parliamo di due persone, un uomo ed una donna, intorno ai 30 anni, che chiameremo con nomi di fantasia Adamo ed Eva, che presentano una problematica che spesso viene riportata negli studi dei nutrizionisti: una persona inizia un piano alimentare in maniera scrupolosa, lo porta avanti per un periodo ottenendo buoni risultati per poi boicottarsi con tutta una serie di comportamenti alimentari inadeguati che, di fatto, boicottano il risultato sperato.
In sintesi, Adamo ed Eva pur soffrendo dello stesso problema, e desiderando intensamente di raggiungere un peso forma da tempo ricercato (entrambi in medio sovrappeso), non riescono a dare costanza al proprio impegno alimentare boicottando alla fine sistematicamente tutti gli sforzi messi in campo per raggiungere l’agognato peso forma.
Adamo ed Eva sono due persone molto diverse caratterialmente e familiarmente.
Adamo è un giovane uomo con una parvenza di efficienza e forza, a tratti duro, ma fondamentalmente sensibile e bonario.
Eva è una giovane donna di basso profilo, intelligente e arguta, che si propone inizialmente come non particolarmente ambiziosa e sostanzialmente contenta della normalità della sua vita, ma che ad una conoscenza più profonda svela frustrazioni e ambizioni latenti e irrisolte.
Pur se le due persone propongono al nutrizionista la stessa problematica, come vedremo la dinamica psicologica alle spalle che sostiene la disfunzionalità del comportamento alimentare è profondamente diversa.
Brevissimamente, scopriremo Adamo essere un giovane uomo che è stato reso autonomo troppo precocemente, da genitori imprenditori che pensavano di fare il suo bene, ma che, accelerando i tempi soggettivi del figlio lo hanno portato a saltare delle fasi maturative per sopperire costruendosi una corazza caratteriale muscolare (una finta autonomia iper-efficiente), simbolicamente proiettata su una fisicità robusta.
Adamo, pur desiderando una forma fisica migliore, non riesce a rinunciare al suo essere robusto che lo protegge dal confrontarsi con delle insicurezze profonde, la sua fragilità, per cui, quando dimagrisce entra in allarme e, alla fine, riprende ad ingrassare per recuperare la sicurezza della sua corazza.
Eva, al contrario, è la seconda genita di due stimati professionisti che l’hanno sempre educata al meglio delle loro possibilità.
Il padre di Eva è un ricco professionista completamente assorto nel suo lavoro, per cui fondamentalmente assente.
Il fratello maggiore di Eva ha fondamentalmente seguito le orme paterne, soddisfacendo a fondo tutte le ambizioni familiari.
La madre di Eva è una professionista di valore ma, soprattutto, una donna estremamente competitiva dal punto di vista femminile: donna estremamente curata, egocentrica, seduttiva, ambiziosa.
In sintesi, Eva, pur desiderando profondamente esprimere a pieno la propria femminilità, quindi la propria fisicità, dall’adolescenza in poi ha subito l’influenza competitiva materna, che è riuscita, più o meno consapevolmente, a lasciare spazio all’emergere della femminilità della figlia che le avrebbe sottratto scena e importanza.
Per cui Eva è cresciuta stritolata dal conflitto tra il desiderio di realizzarsi e la paura di entrare in conflitto con il narcisismo della madre.
Questa dinamica ambivalente si mostra chiaramente nel desiderio di raggiungere il giusto peso forma (realizzazione della sua ambizione) che poi, però, sotto la minaccia della perdita affettiva (il conflitto introiettato con la madre) viene costantemente boicottato.
È evidente che Adamo ed Eva, pur portando al nutrizionista una problematica simile, hanno dinamiche disfunzionali diverse e quindi necessitano di atteggiamenti e interventi diversi.
Come abbiamo potuto vedere in questo semplice e breve esempio, la psicologia deve sempre entrare nel trattamento nutrizionale, ma lo deve fare in una maniera estremamente personalizzata, non con approcci standardizzati, rigidi, altrimenti rischia di intervenire in maniera disarmonica sul soggetto, ostacolando più che favorendo un processo di cura, portando quindi potenzialmente a fallimenti che andrebbero a riverberarsi drammaticamente sull’autostima della persona, aumentandone le problematiche psichiche e alimentari.
Dott. Yuri Canfora
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