Maria (nome di fantasia) è una giovane donna di bella presenza, intelligente, laureata, proveniente da una famiglia medio borghese in buone condizioni socio-economiche, è sempre andata molto bene a scuola e non ha mai creato problemi di nessun tipo ai genitori.
Maria arriva a visita perché da anni prova a risolvere una problematica alimentare complessa, con caratteristiche ortoressiche e bulimiche, che le condizionano la vita in maniera totalizzante.
La vita di Maria gira intorno a diete rigide e restrittive e ad una attività fisica indefessa e alienante.
Maria, nonostante una bella presenza fisica e un’intelligenza oltre la media, non aveva da tempo né un partner né amicizie reali: la sua ossessione per la forma fisica le impediva completamente qualsiasi coinvolgimento affettivo e relazionale.
Nella vita di Maria il piacere era vissuto come un tabù e negato in ogni forma, ad esclusione di rare abbuffate, in cui l’unico piacere era il riempirsi con pasti voraci, a cui poi seguivano drammatici sensi di colpa che innescavano meccanismi restrittivi ancora più intensi e punitivi.
Maria veniva già da lunghi percorsi psicoterapeutici fallimentari e, in effetti, la sua intelligenza prestata all’ossessività e l’ineluttabilità delle sue compulsioni la rendevano particolarmente inaccessibile a qualsiasi forma di ragionamento o confronto.
Maria gestisce ogni cosa, compreso il dialogo con il terapeuta attraverso la logica stringente e pre-concettuale del suo bisogno imprescindibile di essere in forma fisica: si lamenta della fatica che questo stile di vita le porta ma non apre la possibilità a nessun cambiamento, convinta che l’equilibrio trovato sino ad ora sia l’unico possibile per lei.
Nei suoi racconti, lo sguardo di Maria sembra spesso freddo, distaccato, inaccessibile, come i suoi ragionamenti.
Un giorno, tuttavia, durante un incontro, mentre Maria ripeteva come un rosario le sue abitudini alimentari di vita, colsi un lampo emotivo sotto il gelo del suo sguardo e glielo rimandai con delicatezza: avevo colto il dramma della sua solitudine assoluta, di un dolore intenso, acuto, destrutturante, vissuto con profonda impotenza.
A quel rimando gli occhi di Maria sono cambiati immediatamente: sono diventati allarmati ma presenti, lucidi, increduli, finalmente vivi e affettivi.
Quell’intesa di sguardi ha aperto una finestra tra me e il suo mondo interno, che negli incontri successivi ha reso possibile lavorare con la sua affettività, con la sua emotività e, quindi, con la Maria più autentica e profonda, consentendoci di ottenere nel tempo risultati soddisfacenti.
Non esistevano ragionamenti o procedure che potessero smontare o semplicemente scalfire le mura invalicabili della costruzione patologica di Maria, la sua impenetrabile prigione restrittiva-ossessiva, alimentare e ginnica.
L’unica speranza di salvare Maria era quella di vederla ancora viva dietro le mura di quella prigione dove, ormai da tempo (se non dà sempre) nessuno guardava.
La storia di Maria, nella sua drammaticità è esemplificativa nel mostrare come, di fronte al mondo dell’alimentazione, sia fondamentale guardare oltre i comportamenti o le diete, non limitarsi a ragionamenti o indicazioni, che non fanno altro che rafforzare le mura di certe prigioni, ma comprendere le motivazioni profonde, avvicinarsi gentilmente a quel mondo affettivo ed emotivo che muove il disagio ma anche la speranza.
Nel buio di quel castello inespugnabile viveva in solitudine profonda una principessa, che aveva bisogno solo di essere vista per trovare, progressivamente, il coraggio e la forza di uscire e tornare ad esistere.
Dott. Yuri Canfora
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