Il concetto e la percezione della salute nella storia sono cambiati enormemente con il passare dei secoli.
Nell’antica Grecia la salute era concepita come un dono degli Dei e la malattia come un fenomeno magico-religioso. Ippocrate (460 a.C.) rivoluziona il concetto di salute e malattia riconducendoli a equilibri omeostatici interni all’essere umano.
Con la caduta dell’Impero Romano e l’ingresso nel medioevo, la salute e la malattia tornarono in gran parte ad essere considerati fenomeni dominati da dinamiche magico-religiose. È il religioso il depositario dell’arte della cura, che ha strettissimi legami con la magia, con Dio e il demonio.
Con l’avvento del rinascimento e la crescente fiducia nello sviluppo del metodo scientifico la salute torna progressivamente ad essere un ambito medico.
Nel 700 nasce il modello biomedico, attivo sino al 900: la malattia è un fenomeno biochimico e neurofisiologico di competenza esclusiva dello scienziato (medico), la salute è assenza di patologia.
Il medico è il depositario di tutto il sapere scientifico (compreso cosa sia il bene e il male) e il paziente non ha nessun ruolo nella definizione e sviluppo del proprio stato di salute e malattia.
Nel 1948 l’Organizzazione Mondiale della Sanita forniva una nuova definizione di salute: “la salute è uno stato di complesso benessere fisico, mentale e sociale, non semplicemente assenza di malattia o infermità”.
Nel 1986 (Carta di Ottawa) il concetto di salute assume ulteriori sviluppi: “la salute è una risorsa, che permette alle persone di condurre una vita produttiva sotto il profilo personale, sociale ed economico.”
La salute diventa un fattore complesso, riconducibile ad una percezione individuale di benessere: si passa dal modello biomedico della salute a quello bio-psico-sociale.
Il “paziente” torna al centro del proprio concetto di salute, viene reso autonomo e responsabile rispetto al proprio processo di promozione e mantenimento della salute.
I nuovi concetti di salute e malattia cancellano l’idea di un unico scienziato onnisapiente e autoritario: il processo di salute passa alla collaborazione tra il “paziente” (che diventa attore e regista della propria salute) e una serie di professionisti specializzati in diversi ambiti della salute.
Si passa dal medico-santone ad una equipe multidisciplinare, capace di aiutare il “paziente” in ogni ambito della propria salute.
Il termine equipe diventa la nuova soluzione ai problemi di salute delle persone, ma spesso si è rivelata una grande bufala perché, dietro una parvenza di efficienza, si nascondono spesso reflui di cultura biomedica o, peggio, di incompetenza e incapacità. Infatti, non basta mettere insieme figure professionali diverse per fare una equipe.
Una equipe, per essere funzionale, ha bisogno di presupposti fondamentali condivisi, altrimenti si rivelerà una semplice accozzaglia disfunzionale di persone.
Una equipe deve condividere chiaramente e profondamente i modelli scientifici di riferimento, le metodiche e le procedure, le autonomie e le sinergie, l’organizzazione gerarchica, le regole, i linguaggi, gli intenti e gli obbiettivi, la visione della natura umana.
Se una equipe non condivide un corpus scientifico, operativo, etico e deontologico comune, una mission e una metodologia chiare e articolate, sicuramente lavorerà in maniera disorganizzata e disfunzionale.
Se i professionisti di una equipe non condividono realmente tutti questi aspetti, per ignoranza, superficialità o incoscienza, sicuramente, prima o poi, si ostacoleranno, si scontreranno e si contrasteranno, creando nel povero utente confusione, fallimento, dolore e anche malattia e morte.
Capita spesso di vedere equipe piene di professionisti con curricula patinati, ma senza nessuna base di reale strutturazione di gruppo: ogni professionista lavora isolato dagli altri, con obbiettivi scollegati e spesso anche opposti, ecc.
È comune vedere gruppi di lavoro dove psichiatri e psicologi, ortopedici e fisioterapisti, gastroenterologi e nutrizionisti, ecc., lavorano in più o meno apertamente in contrasto creando evidenti danni ai loro pazienti.
In una equipe bisogna saper lavorare in autonomia nel continuo rispetto e in coerenza con il lavoro e la competenza altrui, in rapporti circolari e non simmetrici di lavoro.
Mettere insieme dei buoni specialisti non equivale a creare una buona equipe.
Se lavoriamo per il recupero dell’autonomia di una persona non possiamo utilizzare metodiche o presupposti scientifici passivizzanti e deresponsabilizzanti.
La reale forza di una equipe è la fedeltà e la coerenza del corpus filosofico-scientifico-operativo condiviso che la sostiene.
Cercate sempre di comprendere la coerenza interna di un progetto e di una equipe per valutarne la qualità, non la patinata esibizione di curricula professionali individuali che, come detto, non garantiscono nessuna qualità di lavoro e non saranno mai capaci di realizzare veramente i miracoli promessi.
Dott. Yuri Canfora
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