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Quando si parla di cura si pensa automaticamente ad un intervento medico o riabilitativo.

In realtà se andiamo a leggere sull’Enciclopedia Treccani la prima definizione che incontriamo è: Interessamento solerte e premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività: dedicare ogni c. alla famiglia, all’educazione dei figli, ai proprî interessi; avere c., prendersi c. di qualcuno o di qualche cosa.

È chiaro che in questa definizione non è incluso e indispensabile il concetto di malattia o disabilità, per cui l’idea dell’intervento medico o riabilitativo è assolutamente incompleta.

Infatti, se andiamo a consultare un dizionario di latino (Olivetti) vedremo che il termine cura (cùra in lat.) ha molteplici significati: cura, sollecitudine, premura, attenzione, riguardo, diligenza, solerzia, inquietudine, affanno, pensiero, preoccupazione, amore, pena amorosa, persona amata, preoccupazione, inquietudine, affanno, oggetto d'amore, amore, amministrazione, governo, direzione, opera, ufficio, impegno, incarico, occupazione, ornamento, acconciatura, cura della persona, studio, compilazione, ricerca, custodia, sorveglianza, coltivazione di piante, allevamento di animali, trattamento, cura delle malattie, rimedio, guarigione, curiosità, interesse, custodia, tutela.

Quindi, curare una persona significa metterla al centro dei nostri interessi per permettergli di sviluppare il meglio delle proprie potenzialità.

Per cui, una madre che si prende cura del figlio lo nutre e lo scalda, lo protegge dalle aggressioni e gli crea un clima favorevole alla sua crescita dal punto di vista psichico e fisico (legato al concetto di sviluppo), in un processo guidato da affettività, empatia e consapevolezza.

Dal punto di vista professionale, invece, l’intervento è maggiormente tecnico, scientifico, e si muove su assi meno globali ma più specialistici, per garantire alla persona sia la guarigione delle malattie, ma anche il non contrarle.

Infatti, quando pensiamo al concetto di cura ci riferiamo troppo spesso all’ambito dell’intervento medico e poco di quello preventivo.

La prevenzione è l’insieme delle azioni ed attività che mirano a ridurre mortalità, morbilità o effetti dovuti a determinati fattori di rischio o patologie (profilassi), promuovendo la salute e il benessere individuale e collettivo.

Già intuitivamente, si capisce come sia indubbiamente meglio non ammalarsi piuttosto che doversi impegnare per guarire da una malattia.

Tutti ammirano il chirurgo che salva il paziente da un infarto, ma pochi hanno la capacità di valutare e valorizzare lo stesso merito di un medico di base che grazie ai suoi interventi e consigli aiuta il proprio paziente a non avere un infarto nella vita.

Anche se ci si salva da un infarto, comunque la qualità della vita diminuisce e le cure sono lunghe, impegnative e dolorose.

Inoltre, con il costo di un singolo intervento chirurgico si possono salvare in termini preventivi centinaia di persone.

Esistono diversi tipo di prevenzione: primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

La prevenzione primaria è la principale forma di prevenzione: consiste nell’adozione di interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre a monte l'insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole (ad esempio campagne contro il fumo).

La prevenzione secondaria riguarda la diagnosi precoce di una patologia, permettendo così di intervenire precocemente sulla stessa, ma non evitando o riducendone la comparsa (ad esempio mammografia per il tumore al seno).

La prevenzione terziaria non riguarda la prevenzione della malattia in sé, quanto dei suoi esiti: si tratta di una prevenzione “delle complicanze” che possono essere sviluppate in seguito ad una patologia.

La prevenzione quaternaria oggi viene vista come una prevenzione delle forme di ipermedicalizzazione.

Da anni, esiste inoltre il concetto di promozione della salute che supera la visione patocentrica della prevenzione.

La promozione della salute è il processo che consente alle persone di esercitare un maggior controllo sulla propria salute e di migliorarla.

Questo processo passa attraverso la ricerca di uno stile di vita sano che curi l’alimentazione, l’attività fisica e la gestione dello stress.

Lo stile di vita sano è il modo di vivere quotidiano che rafforza e migliora le capacità di riserva del corpo, aiuta le persone a rimanere in buona salute, a salvare o persino a migliorare la loro salute.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità un corretto stile di vita incide fino al 50% sullo stato di salute della persona; l’ambiente e l’eredità incidono per il 20% e la medicina, infine, solo per il 10%.

Questo dimostra come l’individuo sia produttore di salute e responsabile della stessa, del suo benessere e delle condizioni del suo corpo.

Questo processo passa quindi attraverso la responsabilizzazione dell’individuo che diventa artefice della propria salute attraverso l’impegno in uno stile di vita sano che presuppone l’aiuto di professionisti della salute.

Tuttavia, l’obbiezione che viene posta ogni qual volta si parla di prevenzione e promozione della salute è: “però costa”.

Costa la palestra, lo psicologo, il nutrizionista e l’alimentazione sana, il fisioterapista, gli screening preventivi, ecc.

Tratterò ora l’argomento (“..però costa..”) parlando di un argomento della salute che riguarda specificatamente il mio ambito professionale, la depressione.

Al riguardo cito alcuni dati scientifici tratti da The cost of depression' (di Robert L. Leahy, Ph.D. American Institute for Cognitive Terapy, 30 ottobre 2010):

“Il 19% degli americani soffrirà di depressione in qualche momento della loro vita….La depressione ha costi umani che tutti conosciamo: tristezza, senso di isolamento, sensazione di peso, incapacità di godersi la vita e, per 35.000 persone ogni anno, suicidio (Joiner, 2010)…..le persone depresse hanno 30 volte più probabilità di suicidarsi rispetto alle persone non depresse (Hawton, 1992)….e persone depresse hanno cinque volte più probabilità di abusare di droghe….La depressione è la principale causa di disabilità medica per le persone di età compresa tra 14 e 44 anni (Stewart, Ricci, Chee, Hahn e Morganstein, 2003)….le persone depresse perdono 5,6 ore di lavoro produttivo ogni settimana quando sono depresse (Stewart, 2003)….l'80% delle persone depresse ha problemi nel funzionamento quotidiano (Pratt & Brody, 2008)…il 50% della perdita di produttività lavorativa è dovuta all'assenteismo e alla disabilità a breve termine (RC Kessler, et al., 1999)…..in un periodo di 30 giorni, i lavoratori depressi hanno da 1,5 a 3,2 giorni di invalidità a breve termine in più (Druss, Schlesinger e Allen, 2001)…. le persone depresse hanno sette volte più probabilità di essere disoccupate (Lerner, et al., 2004)….. I bambini e gli adulti che soffrono di depressione hanno redditi più bassi, un livello di istruzione inferiore e meno giorni di lavoro ogni anno…… questi problemi psicologici portano a sette settimane di lavoro in meno all’anno, a una perdita del 20% del reddito potenziale e a una perdita di 300.000 dollari nell’intera vita di ogni famiglia che ha un membro depresso (Smith & Smith, 2010)….le persone che soffrono di depressione si ritrovano con sei decimi di anno di istruzione in meno, una diminuzione dell’11% nella probabilità di sposarsi e una perdita (in media) di 10.400 dollari all’anno di reddito entro i 50 anni (Smith & Smith, 2010). )…..a causa della depressione, si registra una diminuzione del 35% del reddito nel corso della vita, e questo non include l’aumento dei costi delle cure mediche che tutti noi dobbiamo sostenere.”

Leggendo i dati scientifici prodotti dal dr. Leahy è ovvio concludere che la prevenzione non è un costo economico, ma un chiaro investimento con una rendita che nessuna finanziaria può lontanamente sognare di garantire.

La vera ricchezza è data dalla salute, che è inoltre la matrice di tutte le altre possibilità umane: entrare in quest’ottica di pensiero ci permette di smettere di rincorrere chimere e investire in maniera consapevole il nostro tempo e parte (poco) delle nostre risorse per l’ottenimento di un qualcosa che è di per sé l’obbiettivo principale della vita ma che è anche il mezzo indispensabile per raggiungere tutti gli altri obbiettivi che la società, o i nostri sogni, ci spingono a realizzare.

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Valeria è una donna di 45 anni che decide di andare da un dietologo e ne sceglie uno consigliatole da una sua giovane collega di lavoro.

Valeria quindi si reca all’appuntamento con il dietologo all’ora concordata e, dopo 40 min di attesa viene ricevuta dal dietologo. Il dottore ha un’aria molto professionale, le parla con distacco chiedendole precise informazioni riguardanti la sua salute (hai condizione patologiche croniche o in atto?) e, dopo averla pesata e misurata in altezza, le prescrive una dettagliata dieta a basso contenuto calorico, povera di grassi e carboidrati semplici, con una routine bisettimanale da seguire sino al raggiungimento del peso desiderato.

Valeria finita la visita va via piuttosto confusa, non ha capito bene il tutto ma sa che dovrà seguire scrupolosamente la dieta, con ancora addosso l’imbarazzo di essersi dovuta spogliare e farsi “misurare” da una persona sconosciuta e distaccata: tuttavia in cuor suo c’è la fiducia nella professionalità del dottore, che si è mostrato così serio e preparato.

Sin dai primi giorni la dieta fa il suo effetto, Valeria perde rapidamente qualche chilo e questo le instilla una certa fiducia.

Tuttavia, con l’andare del tempo, la dieta diventa sempre più difficile….: l’alimentazione è noiosa, spesso soffre un difficile senso di fame, ha stitichezza e dorme male, deve mangiare tanti alimenti che non le piacciono e, inoltre, seguire la routine la limita anche nelle relazioni sociali e le scarse energie la portano a non praticare con regolarità l’attività fisica, i chili non vanno via più.

Valeria è in enpasse, vorrebbe chiamare il nutrizionista ma si vergogna, il dottore è stato così distaccato e categorico su quello che dovevo fare che non vorrei disturbarlo e casomai sentirmi pure dire che sono debole o svogliata.

Il destino è segnato, Valeria lascia progressivamente la dieta e riprende subito il peso perso, ansi anche qualcosa di più.

Nel tempo Valeria prende ulteriori chili e questo le provoca anche dei fastidi di salute vari (glicemia alta, dolore muscolo-articolare, pessima qualità del riposo e conseguente spossatezza, ecc.).

Di fronte a questo progressivo peggioramento il medico curante di Valeria insiste che deve rimettersi a dieta, per la sua salute che sta progressivamente compromettendo.

Valeria vorrebbe anche seguire le indicazioni del medico, ma non sa dove andare: certamente non ha voglia di tornare dal precedente dietologo, da cui si aspetta rimproveri e giudizi e, inoltre, non vuole riprendere una dieta che l’ha già fatta soffrire troppo prima di fallire miseramente.

Fortunatamente, un’altra collega di Valeria, rientrata al lavoro dopo una maternità, le ha parlato bene della sua dietologa che la sta aiutando a riprendere il peso precedente alla gravidanza.

Valeria pensa che, forse, una donna la capirà meglio e decide di fissare un appuntamento con la dietologa della collega. Il giorno della visita la dietologa è sicuramente più gentile del precedente collega, le chiede molte informazioni sulla precedente dieta e intuisce alcune criticità che forse hanno fatto saltare il precedente piano di dimagrimento.

La dietologa le dice che il problema nasce dal fatto che il precedente professionista le ha “appioppato” una dieta “vecchio stampo”, ormai superata. Valeria si rasserena, si sente alleggerita da colpe e responsabilità, riprende fiducia e speranze.

La dietologa le propone una “innovativa” dieta chetogenica e le dice che, per qualsiasi problema, può chiamarla senza problemi. Valeria rinasce, si libera da sensi di colpa e disistima (non è colpa mia se non sono riuscita in precedenza..) legati alla dieta e riparte con slancio e speranza. La dieta fa il suo effetto, Valeria perde i suoi primi chili velocemente, ma poi incomincia una fase di stallo.

La mancanza di carboidrati è dura, pasta, pane e pizza mancano, manca il gusto e l’effetto positivo dei carboidrati.

Inoltre, è sempre più complicato avere una vita sociale: gli amici si vedono per cene e aperitivi a cui lei non può partecipare senza soffrire l’impossibilità di mangiare o bere quasi nulla di quello che prendono gli altri. Valeria fa sempre più fatica a seguire la dieta, il calo di peso ora si è bloccato e ha anche l’impressione di perdere forse e energie.

Chiama la sua nutrizionista che la sprona a insistere, a tenere duro, ma le difficoltà persistono. Compaiono nervosismo, irritabilità, problemi con il sonno, e al minimo strappo si gonfia come un palloncino. Arriva al punto che non si sente più a suo agio nel chiamare la nutrizionista, tanto le ripete sempre di insistere e sembra sempre meno paziente.

Torna l’angoscia, la disistima, i sensi di colpa e con essi tornano anche eccessi alimentari e restrizioni esagerate.

Alla fine, Valeria lascia la dieta, recupera velocemente il peso perso e, inoltre, ha l’impressione che qualsiasi cosa mangi si trasformi in grasso. In questa situazione, la sfiducia diventa sovrastante, la sua autostima crolla così come il suo amor proprio: Valeria non si piace, si vede brutta e fallita, evita così per imbarazzo anche le relazioni sociali.

Il quadro depressivo di Valeria cresce esponenzialmente: smette di uscire e frequentare persone, non fa più sport, eccede con l’alcool in solitudine, si abbuffa di cibo spazzatura.

Tutto questo perdura fino a che lo stile di vita sbilanciato nel provoca problematiche fisiche che necessitano di intervento medico. Il suo medico curante, di cui Lei a stima e fiducia, la “costringe” a riprendere in mano il suo stile di vita e le consiglia un nuovo nutrizionista su cui nutre indiscussa fiducia.

Valeria, “costretta” dal suo medico di fiducia prende appuntamento dal nutrizionista che le è stato consigliato: in realtà non ha nessuna fiducia e speranza, ma deve provare perché la sua salute fisica le sta lanciando messaggi inequivocabili.

Valeria si reca dal nutrizionista e scopre una persona molto accogliente, estremamente professionale, che l’ascolta e le fa un sacco di domande che nessuno le ha mai fatto: le chiede della sua infanzia, della sua vita privata, dei suoi affetti e delle sue abitudini, ecc., ecc. Senza accorgersene, Valeria ha parlato per 40 minuti di se stessa, si sente estremamente accolta e capita e questo le genera una grande fiducia in questo nuovo professionista.

Il nutrizionista la invita a fare una serie di approfondimenti clinici e le chiede di aspettare le risposte delle indagini per proporle un piano alimentare. Valeria esce rasserenata dal colloquio: il dottore sembrava sapere il fatto suo e mi ha fatto sentire a mio agio, mi ha conosciuta veramente e mi ha anche resa partecipe nel lavoro che andremo a fare.

Dalle indagini si scopre che Valeria è intollerante a varie sostanze, presenta alcune mutazioni genetiche che le alterano sensibilmente la detossificazione e favoriscono un quadro infiammatorio di basso livello, ciò induce un netto rallentamento metabolico.

Il dottore le propone una dieta molto articolata e varia, le spiega che devono attraverso un piano alimentare e delle consuetudini di vita recuperare la piena funzionalità metabolica che la porterà a recuperare con tranquillità il suo peso forma.

Il dottore intuisce inoltre che alcune abitudini dannose di Valeria sono frutto di aspetti umorali e affettivi, per cui la invita a prendere contatto con uno psicologo di sua fiducia.

Valeria esce dalla visita rinvigorita di nuove speranze: ha capito perché non riesce a sostenere alcune diete ed è fiduciosa del nuovo piano alimentare, estremamente vario e che le chiede una partecipazione attiva.

Convinta dal progetto, Valeria decide di contattare anche lo psicologo.

Con l’inizio della terapia psicologica, Valeria scoprirà che molte sue abitudini disfunzionali si generavano da fattori psicologici irrisolti: le sue abbuffate, la sua “pigrizia”, i suoi eccessi alcoolici, la sua tendenza auto boicottante, derivavano da lutti irrisolti, umore basso, profonda disistima.

Con il recupero dell’autostima e dell’innalzamento umorale, Valeria trova sempre più facilità nel seguire un piano alimentare personalizzato che, nel giusto tempo, le ha permesso di recuperare il proprio peso forma e, cosa più importante, questo è avvenuto con il recupero del proprio benessere fisico e con una nuova capacità di vivere a pieno con soddisfazione la propria vita.

                                                                                                                                                                   Dott. Yuri Canfora

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L’idea del nutrizionista è spesso equiparata nella percezione sociale a quella del medico.

È uno scienziato che, attraverso la sua conoscenza del funzionamento del corpo umano, trova soluzioni a processi patologici.

Anche gli studi che normalmente svolge un nutrizionista sono affini a questo tipo di pensiero. Il nutrizionista quindi si ritrova a studiare una vasta mole di nozioni di chimica, fisiologia, biologia, patologia, ecc., ecc.

L’approccio che tradizionalmente accomuna queste due figure professionali è quello biomedico.

Il modello biomedico ha origini lontane, XVI secolo, ed ha influenze importanti come quelle della chiesa cattolica e di scienziati come Cartesio, Galileo e Newton.

All’interno di un corpus teorico vasto, possiamo riconoscere in questo modello due concetti cardine:

1) il riduzionismo, che ritiene che ogni fenomeno complesso possa essere scomposto in fattori minori costituenti (atomi, cellule, ecc.): le spiegazioni causali sono lineari, in medicina si sviluppa l’organicismo.

2) Dualismo corpo-mente, il corpo è visto come un qualcosa di ben distinto dal pensiero, dall’anima, dalla psiche e dal cervello.

Il modello biomedico, sorretto dall’evoluzione scientifica, ha avuto una presa culturale enorme, così grande da perdurare anche quando le sue teorie non riuscivano più a sostenere i fatti. La “crisi” scientifica del ‘900 (Einstein, Eisemberg, Popper, Kelly, ecc.) ha messo in chiara discussione i modelli lineari e riduzionisti a favore di una visione della realtà complessa, sistemica, olistica, costruttivista, ecc.

Tuttavia, per vari motivi, il modello biomedico ha cercato di resistere ad ogni critica, negando la realtà e forzando i processi scientifici (evoluzione dogmatica).

Ad oggi il pensiero che una malattia sia sempre e semplicemente l’alterazione di uno specifico organo causato da un agente patogeno è sicuramente superata.

La centralità della malattia è crollata a favore di un tentativo di comprensione globale del funzionamento della persona all’interno del suo sistema di vita.

La scienza della salute si è evoluta in un approccio di tipo bio-psico-sociale, dove la salute e la malattia cambiano di significato e vengono comprese negli equilibri e nelle dinamiche interattive sistemiche degli aspetti biologici, psicologici e ambientali/sociali.

La persona diventa il centro di interesse e intervento di ogni scienza, l’essere umano nella sua completezza e inscindibilità, psichica e fisica.

Per cui, anche il nutrizionista deve accettare la sfida della scienza, superare il modello biomedico e concentrarsi sulla persona, non più sul mero peso o aspetto fisiologico o fisiopatologico. 

Per far questo, il nutrizionista, così come il medico, oltre che le nozioni di chimica, biologia, ecc., deve acquisire competenze psicologiche e relazionali specifiche, che lo aiutino a prendersi cura e conoscere il proprio paziente nel pieno del suo essere persona.

Solo così il nutrizionista può superare il dogmatismo ormai obsoleto del modello biomedico, prendersi veramente cura delle persone e accettare la sfida scientifica e professionale del presente e del futuro.

Dott. Yuri Canfora

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Ancora qualche informazione...

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F.A.Q.

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L'incontro e la sintesi di questi tre importanti settori della nutrizione e della biologia, si fondono in BMS, in maniera estremamente efficace e pratica.
BMS vede la luce nel 2018 grazie alla stretta collaborazione tra il Dott. Bruni, nutrizionista ed il Dott. Renzi, esperto informatico.

BMS è rivoluzionario nel campo della nutrizione applicata, poiché è in grado di elaborare una moltitudine di parametri clinici e variabili genetiche per tradurli in un percorso di educazione nutrizionale estremamente personalizzato, altamente scientifico efficace e semplice per il paziente.
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